pubblicato dal Corriere Adriatico, venerdì 5 giugno
PESARO – Tanto di ufficio in centro storico a Pesaro e alcuni contatti sparsi tra Milano, Parma, Bologna e uno a Roma. Un’attività da finto commercialista che gli era valsa nel tempo circa 300 mila euro, riscossi come pagamenti all’erario da parte dei suoi 21 ignari clienti. Su Pesaro, una manciata i malcapitati. E ora un processo che lo vedrà comparire a giudizio già il 24 del mese, denunciato alla Procura della Repubblica di Pesaro con l’accusa di appropriazione indebita (art. 646 codice penale), esercizio abusivo della professione (art. 348 codice penale) e reato di falso materiale (art. 482 codice penale). Nonché una segnalazione all’Ufficio delle Entrate di Pesaro per la verifica della prevista tassazione sui 300 mila euro quale provento di attività illecita (ai sensi della legge 537/1993).
Accusato degli illeciti, P.S., professione riferita commercialista, cinquantacinquenne di origini milanesi, da sempre residente a Pesaro. Le indagini che hanno portato alla denuncia presso la competente autorità giudiziaria sono state portate avanti dalla Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Pesaro e coordinate dal tenente colonnello Ippazio Bleve. A dare il via agli accertamenti finanziari, l’accorta rivelazione di una delle vittime a cui qualcosa non è tornato. Insospettito, ha deciso di rivolgersi alle Fiamme Gialle. Da qui, è stato possibile investigare sull’attività compiuta da P.S. negli ultimi 3 anni, almeno un anno prima che la puzza di bruciato giungesse in tutta evidenza anche all’erario. Privo dell’iscrizione all’Albo, come invece prevede la normativa, per le Fiamme Gialle l’uomo predisponeva le dichiarazioni dei redditi e i modelli F24 destinati al versamento delle imposte all’Agenzia delle Entrate; riceveva denaro o assegni per il versamento in banca del dovuto; ma invece di quietanzare le posizioni dei clienti, non effettuava per nulla o solo in parte il pagamento, salvo poi porre a mo’ di prova dell’avvenuto pagamento un timbro contraffatto, riconducibile ad un noto istituto di credito, rinvenuto poi nella sua abitazione. Ai tempi alcuni assegni dei clienti sarebbero transitati sul suo conto corrente, che sembrerebbe ora prosciugato dalle spese personali.